A sinistra lo stemma dell'ex comune di Bosco Valtravaglia, soppresso nel 1927, a destra quello di Montegrino Valtravaglia.
La ricostruzione della storia di Bosco e Montegrino Valtravaglia non è agevole: ci si scontra con la povertà della documentazione, estremamente carente soprattutto per le epoche più antiche.
L'origine del nome di Montegrino Valtravaglia non è chiara. Secondo alcuni, "Montegrino" (come le varianti attestate: Monte Garin, Monte Agareno, Monte Agarino) deriverebbe da "acer", acero, nel dialetto antico "agher", al plurale "agra". Probabilmente, in accordo con tale tesi, vasti boschi d'aceri un tempo ricoprivano il monte che sovrasta il paese. Del resto, l'acero cresce spontaneamente nella zona e il vicino centro di Agra deve il proprio nome alla presenza nel territorio di questa essenza. Secondo un'altra ipotesi, il nome invece sarebbe l'esito del composto di "monte" e di un nome di persona, probabilmente germanico, come "Agrimo" o qualcosa di simile. Non ci sono dubbi, invece, sull'etimologia di Bosco.
Nel XIII sec. a Montegrino esistevano sicuramente tre chiese: S. Martino e S. Gallo, espressamente citate nel Liber Notitiae di Goffredo da Bussero e S. Ambrogio, che per alcuni indizi è sicuramente di origine medioevale. A Bosco, nel XIV sec. esisteva la chiesa di S. Maria in Culmine.
Sin da tempi lontani, le risorse ambientali (legname da costruzione e da fuoco, produzione di carbone e pascoli) consentirono la crescita di una comunità che fu a lungo più numerosa di molte altre della zona: nel 1578 Montegrino (unita a Bosco) contava 943 abitanti (più del 10 % della popolazione totale della Travaglia; Luino, allora, aveva solo 669 abitanti); come parrocchia era superata solamente da Brezzo di Bedero.
Come altri paesi della zona, Bosco fu caratterizzata dalla presenza dei Romani, come testimoniato dal ritrovamento di monete ed oggetti di varia natura venuti alla luce durante degli scavi; in particolare, nelle vicinanze del centro abitato, agli inizi del secolo scorso, furono rinvenute delle sepolture d'epoca romana, unitamente ad una moneta bizantina dell'imperatore Anastasio I (V sec. d.C.).
Nel Settecento, secolo per il quale la documentazione (soprattutto di natura privata) è più abbondante, il paesaggio della nostra zona cominciò a mutare: dovunque cominciarono ad apparire i gelsi, la cui coltivazione si legava all'allevamento dei bachi da seta. Lo sviluppo di quest'attività provocò la comparsa di numerose filande (un sacerdote boschese, don Antonio Parietti, nella prima metà del XIX secolo, scrisse addirittura un trattato sull'allevamento dei bachi da seta).